Abhappezzi

IL CAMMINO DEL NORD, Giorno #4

Da Deba a Markina

Km: 29

Difficoltà: 9/10 (‘sto cacchio di Nord, sempre a salire e scendere…ripidamente in entrambi i sensi).

Bellezza 8,5/10

Le spese: Colazione: al bar = 4,50 euro

+ Albergue donativo = 5 euro + Spesa supermercato = 18 euro. Totale = 27 euro

Le dritte:

1. Cambiati i calzini: ho scoperto di avere un paio di calzini migliore degli altri. E così ho sperimentato che può essere una buona idea indossare i calzini normali nella prima parte di cammino, e poi nella seconda mettere i migliori. Così Il piedino è più salvaguardato quando è più delicato :-);

2. Ho con me un mini-kit fondamentale di oli essenziali DoTerra per prendermi cura di me: Deep Blue, per muscoli e articolazioni (anche in crema, che mi spalmo mattina e sera) popolarissimo tra i pellegrini, Melaleuca per disinfettare le ferite, Lavanda per lenire i pruriti (maledetti tafani), Immortelle per aiutare la pelle del viso dopo gli strapazzi del sole;

3. Gitte mi ha mostrato un fighissimo sottolenzuolo che si compra su Amazon: serve a evitare che insettini possano passare dal materasso alle tue chiappette;

4. Da Eroski vendono a un prezzo ottimo delle buone tortillas da 500 grammi: le compri la sera e ci tiri avanti fino al pranzo del giorno dopo. Qui i menù dei pellegrini non sono così convenienti dunque ogni Eroski è una benedizione!

5. Compra magliette tecniche il più leggere possibile: le mie sono belle ma non si asciugano mai!!!

6. Non fidarti del chilometraggio indicato dalle guide: non considerano mai l’uscita e l’entrata dalle città di provenienza/destinazione…il chilometraggio che indico io è quello preso dai miei passi :-))

7. L’Albergue donativo è ricavato in una specie di monastero…tiene 40 posti a dormire.

È ufficiale: oggi sono a pezzi. A guardarmi in giro ora (anzi, fino a qualche minuto fa perché adesso sono nel sacco lenzuolo, pronta a completare l’elementare sequenza pappa/nanna) siamo a pezzi tutti. Tutti i protagonisti del videogame attraversano la piccola cittadina basca di Martika con una speciale peculiarità: la caratteristica andatura di smaltita, del pellegrino che da 4 giorni macina 30 km dall’alba al primo pomeriggio.

Gambe larghe, schiena un po’ curva, piede prudente nell’avanzare i piccoli passi che ci portano al bar o al supermercato. Il celebre motto romano vale qui a livello internazionale: voglia di fare il turista, sartame addosso.

Insomma, il Francese per ora è nettamente più bello, ma anche nettamente più agevole: i miei piedi mi dicono di sapere bene perché solo il 6% dei camminatori alla volta di Santiago sceglie la via del Nord.

Oggi poi è stata veramente tosta. Co’st’incubo di trovare gli Albergue pieni c’è solo da correre, o da svegliarsi alle 5 e non alle 5:05.

Anche stavolta però non ce l’ho fatta a mettermi in marcia presto, ma questo ritardo mi ha portato a sperimentare ancora una volta la bellezza della Serendipity: mentre stavo sorseggiando una bevanda calda al bar di fronte, ed erano già le 7 passate e non me ne fregava troppo di accelerare i tempi, ecco che entra un viso familiare. Non la riconosco subito perché ha già perso qualche chilo, ma al suo collo scorgo l’inconfondibile buffer che le avevo regalato.

Salto letteralmente in braccio a Gitte, che non avrei mai pensato di rivedere su questa via…invece lei è arrivata in treno a Deba di buon ora, perché ha troppo male al piede e dunque si è presa un giorno di stop.

“Più tardi – mi dice – ci vediamo a Markina…prenderò un altro treno fin lì e così passiamo un’altra serata insieme”.

Mi dedico per qualche minuto alla mia preziosa amica, poi mi accorgo che sono quasi le 8 e a ‘sto punto devo davvero correre.

Mi metto a marciare di buzzo buono, con nelle orecchie l’ottimo album “Ora” di Jovanotti. Tutt’a un tratto mi rendo conto però che tanto per cambiare le frecce sono messe poche e male, e così torno indietro sui miei passi, perdendo altro tempo prezioso, finché non intravedo la sospirata verniciata gialla della svolta che indica inesorabilmente verso l’alto.

Si sale, si sale, che palle…ancora si sale.

Ma anche in questo caso, Serendipity ha fatto il suo gioco: se ero lì in ritardo di quel giusto po’, stavolta lo è stato per aiutare Ottavio. Un avvocato della provincia di Napoli che stava andando dritto come me verso la perdizione, e che pesco giusto in tempo per portarlo su, verso la retta ritta izquierda.

Quante coincidenze si annodano lungo il cammino della vita, se solo abbiamo gli occhi aperti per coglierle, la flessibilità per modellare le nostre azioni a seconda del momento, la capacità di aprirci a tutto ciò che capita!

Così, mentre continuo a macinare chilometri senza pause (devo arrivare anche su una gamba sola entro le 15, se voglio sperare in un posto, ed evitare il bis del melodramma-panchina) mi perdo Ottavio che però, grazie a questo necessario distacco, si aggancia a una ragazza russa con cui poco fa l’ho visto a cena fuori, davanti a miei occhi, nella piazza del paese.

In quel mulinare gambe e braccia, vado così velocemente che ho imparato ad arpionare la borraccia dalla tasca dello zaino senza fermarmi, compiendo un’asana degna di uno yogi.

Più complicato rimetterla a posto (lì serve la precisione poco allenata nell’infanzia da cerchietti/pesci rossi/lunapark) e così, appena giungo in un paese con qualche anima viva nei paraggi, chiedo a tre ragazze di aiutarmi a riporre l’oggetto che avevo agganciato al mignolo da miglia e miglia. Grazie a questo capannello di donne mi nota un contadino, che mi porta un pomodoro grosso così, che insieme al jamon e alla tortilla ha reso indimenticabile il mio solito pasto volante.

Serendipity.

Il tempo di una pipì comunque non posso risparmiarmelo. Mi appresto alla buona, tanto sul Nord non passa un’anima, a fare quella cosa lì. E invece, ecco che nel momento topico compare sul mio orizzonte accucciato nientemeno che un professore di letteratura americana, americano pure lui, che insegna in Corea all’università e che, pudico più di me, si gira di scatto dall’altra parte facendo un salto all’indietro come se avesse visto un insetto raro. Rosso in faccia, mi raggiunge solo quando gli faccio cenno che tutto è andato a buon fine, e dividiamo insieme così un pezzo di Cammino.

Attraversiamo guadi di fango, salite impervie, campi di ortiche. Le mie gambe si arrossano subito impietosamente al contatto con la perfida pianta, rosse come quel pomodoro (vedi foto).

Arrivo alla meta distrutta, scricchiolante, cigolante, con le anche svitate e le ginocchia che fanno Giacomo, dopo una discesa da ufo all’Albergue, dritta come il trampolino del salto con gli sci. Con mia sorpresa, ad aspettarmi, c’è un’amomala camera doppia con la mia Gitte, in mezzo a enormi camerate. Lei, Gitte, era lì già da ore con le forbici in mano, pronta a festeggiare il taglio del traguardo.

Ma per fare in tempo con l’obiettivo del formato convenienza ore quindici=Gitte=camera doppia, ho dovuto piantare in asso senza troppe spiegazioni – che con lui sarebbero andate per vie esistenziali – anche il delicato professore americoreano.

Ogni movimento genera una conseguenza, che se siamo aperti a raccogliere può diventare un’occasione. Al punto che mentre mangio un’insalata assemblata nell’immancabile Eroski sulla panchina della piazza centrale di Markina passa Lore che, vedendomi le gambe ustionate, mi spiega che è una benedizione tutto quel fuoco: le ortiche sono un potente antinfiammatorio, e dopo una giornata di tali sollecitazioni ora i miei polpacci respireranno per tutta la notte.

E intanto sicuramente anche il professore avrà avuto la sua occasione generata dal nostro movimento di incontro e di commiato. Magari anche per lui si è tradotta in un invito a cena fuori 🤗.

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