L’ACCELERATORE DI ESPERIENZE

Da Arpino a Roccasecca

(Tappa 15 di 16)

Km 22,5 (con i giri nelle città e nell’eremo dello Spirito Santo)

Bellezza: 9,5/10

Difficoltà: 6,5/10

Il Cammino è un acceleratore di esperienze. L’ho scoperto in maniera definitiva da Roberto, il nostro nuovo amico ad Arpino, nato a Carosino in provincia di Taranto, una vita trascorsa accanto a Marina, conosciuta nel 1972, lei di origini arpinati anche se insieme vivono a Roma. Da allora la loro è una vita di scelte condivise. Come quella di diventare hospitaleros lo scorso anno per il Cammino di San Benedetto.

In poche ore a casa sua, Roberto mi ha insegnato che l’accoglienza è verità: verità di indossare le pantofole vecchie “con cui ho dipinto casa”, verità di accoglierti con il grembiule da cucina indosso. Non che altrimenti si sia meno autentici, non dico questo…ma quella di Roberto è un’autenticità radicale. Così messi a nudo, i pellegrini con i loro sacchi e le magliette impolverate, l’hospitalero in pantofole e tuta da casa, l’incontrarsi diventa in pochi minuti un rapporto umano, grazie a questo straordinario di acceleratore di esperienza che è il Cammino.

Senza conoscere il suo punto di vista, quando ieri ho contattato Roberto avvisandolo del nostro arrivo, alla sua domanda “mangiate di tutto?”, io gli ho prontamente risposto: “ciò che passa il convento”. E così ci siamo immediatamente sintonizzati: perché il nostro dovere di pellegrini è anche questo, superare le piccole private abitudini, allargando la mente per diventare più capaci di ricevere, fare spazio dentro di noi a quello che c’è e che ci viene offerto.

Arrivati ad Arpino, sotto una pioggia battente, Roberto era lì ad aspettarci da alcune decine di minuti. Ci offre subito un poderoso abbraccio, e l’acceleratore di esperienze si è messo così in azione. A casa sua, una doccia rapida e poi a cena insieme: in quella tavola autenticamente semplice, Roberto serve i piatti della vera tradizione locale. Le sagne con i fagioli, le polpette con il purè.

“Non vi ho sedotti con il servizio buono, non ho tirato fuori l’argenteria”. Già, perché questo genere di ospitalità non si propone di strappare una recensione positiva su qualche sito, è un donare senza una ricevuta di ritorno. “Così sei libero di ritornare come di non tornare, e una volta che sei qui di prenderti quello che possiamo offrirti”.

Marina stasera è a Roma, ma è come se anche lei fosse con noi. Ha lasciato al marito dettagliate istruzioni sulle ricette, oltre che ad averci preparati il limoncello (coi limoni di casa al mare), e le marmellate per la colazione.

Per Roberto e Marina essere diventati hospitaleros donativi è una questione di senso. “Mi capita di aprire casa anche solo per un pellegrino, come oggi: mi avete chiamato e sono venuto da Roma apposta per voi, non ci ho nemmeno pensato”. E quanto poi i pellegrini lasceranno nella cassettina è un dettaglio secondario: per Roberto l’importante è offrire il meglio di sé.

Le parole semplici e vere che ci regala sono pesanti come dolci pietre da portare nello zaino: e rifletto su quanto sia vero che ora, come dice lui, siamo diventati amici per sempre. E sì, perché ci siamo incontrati così come siamo, senza divise addosso, né ruoli da sbandierare. “Una mattina, quando Matilde da Sasso Marconi partì da qui, avevo soltanto delle melanzane, pomodoro e pane. Le ho preparato un panino improvvisato da portare per il viaggio, con melanzane grigliate, quel pomodoro e un po’ di olio nel pane, e così è nato il panino chiamato come lei, il “panino Matilde”. Che lei e altri pellegrini di ritorno ad Arpino mi hanno chiesto ancora di mangiare. Dalle cose genuine, anche quando hai quel poco da offrire che però è tutto, nascono le sorprese migliori”.

Questa è la lezione più bella di Arpino, anche se questa città – la città del gonfalone con le sue sfide antiche tra quartieri e contrade – ha davvero tanto da essere detto: un bel po’ lo impariamo anche da Carlo Scappaticci, che ha fatto talmente di tutto nella vita da rendermi difficile una sola definizione. Tanti mestieri, ma anche la passione per le lettere prima come studente poi come insegnante, visto che ancora oggi riesce a trovare il tempo per i suoi ragazzi di un Istituto locale, lui che ha insegnato persino in Africa. Fu lì che apprese l’arte della cucina maghrebina, lui che era già un cuoco provetto delle specialità ciociare recuperando non soltanto la tradizione profana del mangiare arpinate ma anche monastica, pubblicando un libro con il ricettario che i monaci benedettini di Casamari usano da secoli. Nella Trattoria del Corso, che ha superato il secolo di vita, Carlo tramanda ai fornelli questa tradizione, insieme a Patrizia e Maurizio, moglie e marito che valgono per quattro: lui fa le due di notte per preparare i broccoletti così come vanno fatti, lei incarta torroncini con una grazia di carta velina, da rendere ogni confezione unica. Una gita ad Arpino merita anche soltanto per gustare il pranzo antico che abbiamo assaggiato noi qui, con il carufolato, piatto risalente alla dominazione saracena dove l’agnello è stufato con chiodi di garofano e cannella, accanto a polenta, ceci e broccoletti, accompagnati da una crespella che attinge invece alla ascendenza borbonica, con vino locale e immancabile torroncino in chiusura.

Arpino, dicevamo, è una città che ha molto da dire, e non soltanto perché qui fino sono nati Cicerone e Caio Mario, ma anche per la sua civitavecchia, un’acropoli di sconvolgente bellezza, i cui megaliti risalgono al VI secolo a.C. Eppure, con tanta bellezza, Arpino vive anche di contraddizioni: la più evidente s’infila nella vita di tutti i giorni, passa attraverso i tubi dell’acqua corrente, che viene erogata dalle 6 alle 12 del mattino, e poi si va avanti con grandi serbatoi sparpagliati in città.

La tappa verso Roccasecca è spettacolare: la Ciociaria, di cui Patrizia e Maurizio ci regalano nella foto con ciocie lo spunto etimologico, è un paesaggio che stupisce di continuo. Attraversiamo pascoli, tagliamo in diagonale uliveti in un sentiero scosceso, e poi la vista si getta a picco sulle gole del fiume Melfa, che dall’alto e da vicino sono ugualmente spettacolari.

Più in basso, dove i cellulari non si sono ancora agganciati alla linea, ci sono Tommaso e Angelo che ci accolgono con bevande fresche. Quale sorpresa trovarsi a fondo valle il nostro nuovo hospitalero e la guida che ci porterà a visitare i famosi eremi, pronti ad aspettarci! La staffetta dell’acceleratore di esperienze umane non è ancora finita.

www.ilmondodiabha.it

www.camminodibenedetto.it

#donneincammino

…e presto su www.lonelyplanetitalia.it

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