UN CAMMINO DI RINASCITA

Da Colle del Capitano a Leonessa

(Tappe 2/3 di 16)

Km 17 (+ 9 km di mia variante fino al Colle La Croce di San Giuseppe, da cui si domina la vista su Leonessa)

Difficoltà: 5/10 (variante: 8,5/10)

Bellezza: 8/10 (variante: 9/10)

Cosa ne è di quel foglietto volante, di quella ricetta di torta per 10 persone, di quella festa, di quel giorno in cui intorno a un tavolo quegli amici la gustarono?

Trovo questo foglietto volante in un mulinello d’aria a Villa Pulcini. Paese fantasma come tanti, troppi da queste parti.

Ma andiamo per ordine.

Eravamo rimasti alla cena di martedì sera, al Colle del Capitano. Uno di quei posti dove il concetto di agriturismo è autentico come lo era all’origine. Una fattoria traboccante animali, tirata su dalla famiglia di Carlo sin dagli inizi del Novecento. Un allevamento di circa quaranta candide Chianine, altrettante galline e molte simpatiche Capre Facciute della Valnerina, ci sono le pecore, un branco di cavalli montati dal figlio Saverio, poi c’è Nina, una scrofa super big, l’allevamento di oche e piccioni, e tanti cani mansueti.

Piera, ve lo dicevo ieri, spadella da mattina a sera, ma si tiene in forma a furia di lavorare tanto e sempre sorridente. Oltre a Saverio, in azienda c’è anche Graziano, mentre Cecilia – la primogenita – fa l’architetto e qui in zona col terremoto ha un gran da fare (anche se proprio oggi è a Roma per seguire un cantiere a un palazzo di fronte casa mia: amazing).

“Chi viene al Colle del Capitano, torna”, mi dice Daniele, con un gesto del mento che indica Piera ai fornelli. Perché qui mangi i prodotti coltivati dalla famiglia Vannozzi e cucinati come una volta: e per fortuna non è uno slogan della pubblicità.

Qui, soprattutto, “si mangia tutti assieme”, sottolinea Saverio con un orgoglio di cui sono orgogliosa anch’io. Cioè nel vero spirito pellegrino, si mangia ciò che passa il convento, intorno al grande tavolo di legno, con la famiglia. Un convento generoso, certamente, dove non manca mai il panepizza caldo sfornato dall’infaticabile padrona di casa, una varietà di salumi fatti dalle loro mani, e quando è stagione c’è il formaggio di capra oppure la roveglia, il pisello selvatico che ho assaggiato qui per la prima volta. Ai pellegrini viene accordato un prezzo di favore, e affidato il buon senso di lasciare un’offerta per ciò che certamente avranno ricevuto in più da questa esperienza.

Con un sole giallo e limpido in un cielo senza nuvole, saluto i nuovi amici e vado, verso una facile tappa alla volta di Leonessa.

Dopo 4 chilometri arrivo a Monteleone di Spoleto, con la sua Torre dell’Orologio e senza la sua biga etrusca, che nel 1902 fu ritrovata da un contadino e che da allora soggiorna a New York. Inforco una viuzza dopo l’altra, alla ricerca di una chiesetta dove affacciarmi, o di qualcuno da salutare ma niente: la solitudine di questa tappa mi farà compagnia per molti chilometri ancora. Raggiunta la sommità del paese, mi abbraccio con una bellissima vista sull’alta valle del Corno e sui monti reatini, mentre da un muro abbandonato occhieggiano ironici dei cartelli di legno, memori di una passata convivialità.

Proseguo ridiscendendo da Monteleone, e attraverso per alcuni chilometri un piacevole paesaggio tra i campi, pianeggiante e calmo. Arrivo quindi a Villa Pulcini, e trovo lungo la strada la ricetta della Crostata di marmellata. Mi guardo intorno. Non un’ombra di nessuno, soltanto un cane sciolto in lontananza. Cosa ne è di questo paese? E cosa del successivo Villa Bigioni?

Solo case abbandonate, insegne zoppe, finestre cieche, piazze disertate.

A Leonessa incontro Sandro Rauco, il mio hospitalero del Leonessa Affittacamere, tabaccaio del paese nonché angelo custode per un giorno, che con voce calma e un sorriso mite negli occhi mi dona la risposta:

Se anche il terremoto – la stessa scossa terribile del 30 ottobre 2016 di cui mi raccontarono Giusi e Andrea a Norcia, con il suo sciame insostenibile durato mesi e mesi – non ha prodotto crolli e per fortuna vittime in questo territorio, la vita è come sospesa, congelata a quella data. Decine di paesi dichiarati pericolosi e inagibili, abbandonati dai giovani e gradatamente spopolati dai vecchi.

Eppure Leonessa è stupenda, ha tanto da offrire agli occhi e ai passi. È un paese che ha voglia di lavorare e di fare, ma le saracinesche sul Corso sono quasi tutte obbligate a rimanere giù. Le risorse sono state impiegate a sorreggere, ma non a ricostruire e a far rinascere. E così i Leonessani si rimboccano le maniche da soli, come Sandro e Cristina che vivono l’accoglienza ai Pellegrini come Giusi e Andrea, con la stessa dedizione che si respira in Spagna.

Ho bisogno di riflettere, di pensarci su. Mi inerpico per il sentiero verso il Colle La Croce, stupenda via crucis che segue le edicole di San Giuseppe di Leonessa, che qui ha compiuto il miracolo di far zampillare l’acqua dalle rocce. Dopo meno di due ore sono in vetta, la visione dall’alto mozza il fiato e chiarisce le idee.

Noi, per ricambiare, possiamo fare questo, soprattutto questo: andare a Norcia, andare a Leonessa, prendere un caffè e un dolcetto alla Pasticceria Battilocchi, sul Corso San Giuseppe, dove Sandra ti accoglie sotto una grande foto che non ti aspetteresti mai da queste parti.

Quello che possiamo fare è credere che la loro rinascita è la nostra, perché intraprendere il Cammino di San Benedetto significa anche questo.

E a Pasqua, per chi non ha così tanto tempo, si possono interpretare proprio le tappe che vi ho appena raccontato, da Norcia a Leonessa. È Il Cammino della Solidarietà, che ci aspetta uniti a marciare insieme dal 20 al 22 aprile.

www.ilmondodiabha.it

www.camminodibenedetto.it

#donneincammino

…e presto su lonelyplanetitalia.it!

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