La Lunga Marcia del Cammino nelle Terre Mutate
Da Campotosto a Mascione
Tappa #12
Km 15
Difficoltà: 8/10
Bellezza: 9,5/10
Il Cammino nelle Terre Mutate ti prende a secchiate di emozioni. Con i suoi sentieri stupefacenti, i suoi contrasti stridenti, il senso di gratitudine per la natura che vince, scrolla via dubbi, pensieri, trabocca dagli occhi nel grandangolo di verde e montagne, verde e montagne. La nostra Amazzonia è qui, ammanta gli Appennini.
Come ogni mattina ci mettiamo in marcia tutti insieme: apriamo e chiudiamo la giornata dietro al nostro striscione (“ricostruire ora case e comunità”).
Al momento del primo passo a Campotosto, Francesco ha già sfoderato il suo violino e intona una melodia che è diventata il jingle, la sigla, il riff che scandisce il nostro primo movimento.
Francesco Ciccone è nato a Roma, ma vive a Sezze. Ha solo 32 anni e da allora porta con sé un’anima antica.
Come un viandante d’un tempo passato, spicca nel gruppo anche per questo: noi vestiti con abbigliamento tecnico, questione di scelte personali Salewa o Montura, Quechua o North Face, lui indossa invece calzoni e maglietta bianca, la coppola e il fazzoletto rosso annodato al collo, sul volto ha una barba folta che cela la sua vera età, alla spalla una bisaccia.
Prende appunti su un taccuino di spessa carta marrone, e se gli chiedi cosa stia scrivendo, ti risponde citando Shakespeare: “Parole”.
Il suo viandare insieme a noi è in ascolto, con la manopola interiore sintonizzata sulla giornata, sui paesaggi e il ritmo di un passo corale.
Per questo Francesco è spesso in silenzio: osserva, sente, suona. Si fa colonna sonora con accenti folk e medievali, celtici o popolari, caccia fuori dal suo inventario musicale canzoni di oggi ricoperte di ieri, canzoni di ieri che sanno di oggi.
Così il suo violino si infuoca su ghiribizzi gitani nella notte a Sant’Angelo, davanti alle tende con canti e balli, s’addentra nei sentieri degli stornelli, unendosi all’organetto e al tamburello dei ragazzi di Campotosto, o s’intona al canto di Guccini e di Branduardi.
Durante la verdissima tappa di ieri, esagerata la bellezza che si spalancava dietro ogni scollinare, sbattendoci davanti al Gran Sasso e ai Monti della Laga, al Terminillo e al Vettore, al Velino e alla Maiella, a regalarci così, gratis, la compilation visiva del best of the best dei monti di qui, con il lago di Campotosto a sorvegliarci sempre a fondo valle…ecco che raggiungo Francesco, per chiedergli di sé.
Mi dice che si definisce un cantore di via.
“E cosa fa un cantore di via?”, replico presumendo una risposta preziosa.
La sua lo è ancora di più. Mi spiega questa teoria, citando gli Inti Illimani:
“Creemos el hombre nuevo cantando,
el hombre nuevo del mundo cantando”.
Ne ripercorro mentalmente lo svolgimento:
“Creiamo l’uomo nuovo cantando,
l’uomo nuovo del mondo cantando
canto in questa notte stellata
in cui sono solo e esiliato.
Però sulla terra non c’è nessuno
che sia solo se sta cantando.
L’albero lo accompagnan le foglie
e se è secco, non è più un albero;
l’uccello, il vento e le nubi,
e se resta muto non è un uccello.
Il mare lo accompagnan le onde
e, il suo canto, le navi allegre,
il fuoco, le fiamme e le scintille
e persino le ombre quando è alto.
Nessuno è solo sulla terra,
Creiamo l’uomo nuovo cantando”.
Riprendo a camminare in silenzio, ringrazio Francesco, mano sul cuore, e vado avanti. Ascolto: la sinfonia della natura ci ha accompagnati fin qui senza chiedere applausi. E senza nemmeno chiederlo, da lontano arrivano i nostri compagni cantando. I cori guidati in questi giorni da Simone Frignani sono la prova che sì, il cantore di via dice il vero. Siamo sul sentiero giusto, se c’è canto, c’è uomo nuovo. Rinascita e rinnovamento.
www.ilmondodiabha.it
(il racconto completo presto su #movimentotellurico e #lafreccia. Con approfondimenti su #lonelyplanetitalia)
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