E il cerchio si chiude

Epilogo dei tre Cammini del Nord, Primitivo, di Finisterre

Mi guardo indietro di poche ore in queste ultime ore immerse nel silenzio della ricollocazione del cammino nella vita appena approdata in Italia. E mi accorgo che manca all’appello un piccolo fondamentale tassello a margine del puzzle dei 30 giorni raccontati.

Trenta giorni ripartiti in tre cammini in realtà – Nord, Primitivo, Finisterre – con tre risultati parziali – 515,3 km solo per il Nord, 350 circa di Primitivo, più un centinaio per Finisterre, oltre ai 53 e rotti di cammino di transizione – per un totale complessivo finalmente definitivo di 1050,8 chilometri e una media di oltre 35 al giorno.

Dicevo del piccolo fondamentale tassello. Alla fine del Cammino di Finisterre, Peppe mi rivela che esiste un punto che è 21 metri più a Occidente della “fine del mondo”: questo punto si chiama Cabo Touriñán.

Ed è lì che il 23 agosto ho indirizzato il mio primo giorno del dopo Cammino.

Dopo la notte imperdibile trascorsa il 22 sulla Praia de Fora, con suonatori di banjo e di violino intorno a un’immensa pira, la compagnia degli ultimi amici incontrati, la condivisione del cibo fino alle nebbie che precedono l’alba, il manto stellato a proteggere il sonno di centinaia di pellegrini giunti al termine, mi sveglio alle 5 insieme a Michael, bancario austriaco deciso a mollare tutto per seguire la sua vocazione musicale. Mi sveglio per vedere l’alba al mitico faro di Finisterre.

Perché se il tramonto è lo spettacolo più democratico del mondo, nella sua ripetuta, irripetibile ordinaria straordinarietà, l’alba ne è gemella diversa nel suo magnifico, femmineo contraltare. Così, visto che il Capo di Fisterra s’insinua sia a ovest che a est del mare, volevo proprio andare a vedere chi sarebbe mai andato a vedere lo spettacolo della gemella diversa.

Allo sbocciare di una magnifica alba, con le sue omeriche dita rosate allungate su un cielo pastello, nessuno era lì. Lo svettante crocifisso torreggiava sulla cima stavolta in perfetta solitudine.

E allora che gioia tutta mia arrampicarmi fino a lì da sola con me stessa!

Se non avessi assistito a quell’alba, la sensazione sarebbe stato come dire Omega senza Alfa. E per me, in questo Cammino, la sequenza esatta è proprio la fine seguita dal principio.

La morte che lascia quindi modo alla rinascita.

Ad alba fatta, il gran cuore di Peppe mi viene a raccogliere in auto a Finisterre. Con una certa incertezza metto una zampa dentro l’abitacolo, dopo un mese speso a rifiutare passaggi di automobilisti compassionevoli.

Peppe mi dice che l’auto ci sarà necessaria per andare in alcuni posti speciali, e fa a me e Francesca questi regali come li ha fatti a una parete intera di altri pellegrini, che ne tessono sperticate lodi nelle centinaia di bigliettini della foto: la vista delle nere cascate di Ézaro, un paio di highlights del suggestivo Cammino di oltre 250 chilometri “dei Fari”, ancora poco conosciuto e che rappresenta già un credibile obiettivo per un prossimo mio percorso, la casa fuori dal mondo di “el Alemàn de Camelle”, il tedesco geniale e radicale che ha vissuto tutta la vita come un selvaggio tecnologico e colto, vestito di un solo perizoma tarzanico, artista delle pietre sugli scogli che gli facevano da giardino, capace di nuotate atlantiche anche d’inverno.

Ma soprattutto promette di portarci 21 metri oltre Finisterre: sull’ultimo brandello d’Occidente prima dell’assolo spartiterre del mare. E dunque è al grado 9 con 17’ e 56’’ che scocco la mia ultima freccia dall’arco di questo Cammino, conclusosi ufficialmente ieri, nel giorno in cui iniziai a camminare verso Santiago nel 2017, cioè il 24 agosto.

Era proprio ieri, sì, il giorno in cui ho realizzato l’ultimo mio piccolo rituale di epilogo: sveglia presto dall’amata Muxia, in tempo per tornare a Santiago e assistere alla “messa degli italiani” tenuta da Don Fabio in una cappella della Cattedrale, ieri come tutti i giorni (esclusa la domenica) alle ore 10. Per i credenti e non, la messa di Padre Fabio rappresenta un momento di vera comunione con il senso finale del Cammino, e da laica sono certa nel raccomandare a chiunque di non perderla.

Quindi via, verso l’ultimo residuo extra-tappa, diretta verso l’aeroporto. Ma dietro il primo angolo di Cattedrale, ricevo ancora due ultimi regali: impatto frontalmente con i miei primi amici del gruppo di Mr. 18 Chili, che avevano proseguito sul Cammino del Nord fino alla fine e che quindi non avevo più incontrato: Jerzy, Luka e Dom. Una foto insieme, una lacrimuccia, un arrivederci a Londra, a Breslavia, a Roma. Quindi sotto i portici inciampo letteralmente in Marko e Marieta, i due incantevoli sloveni che hanno compiuto il Cammino come viaggio prematrimoniale, e che mi avevano offerto il melone più delizioso a Deba e un fondamentale pezzo di pizza a fine di una tappa in cui stavo andando a letto a becco asciutto.

Una volta salutati tutti, e che davvero il cerchio sembrò chiudersi con i crismi della magia, volo via verso l’aeroporto. Ma volo a piedi. Già: perché voglio compiere quest’ultimo passaggio senza bus, godermi questi ultimi 15 chilometri contromano – e che impatto lo scorrere del film dei pellegrini in arrivo a Santiago! – con le scarpe che avevano intrapreso il Francese e che ora hanno chiuso l’anello di un anno di Cammini con l’alba a Finisterre e i 21 metri anche oltre.

Alle 14 e qualche cosa sono all’aeroporto di Santiago, mi tolgo le scarpe, le ringrazio e le lascio lì.

Resta appena da disegnare un ultimo schizzo di avventura: con l’incognita di come imbarcare il coltellino tascabile di mio padre, non avendo un biglietto che include il bagaglio in stiva. Ma conto sulla Provvidenza anche in questo caso.

Come avevo fatto lo scorso anno, chiedo ai passeggeri in fila per il check-in se potessero infilare nella loro valigia questo piccolissimo oggetto dalla nota sagoma svizzera. Mi becco di risposta cinque orripilati no.

Resto incredula: possibile mai che mi abbiano scambiata per una pericolosa terrorista?

A farmi capire l’accaduto ci pensa un pacato signore, anche lui in fila, che non avevo ancora interpellato: senza dire una parola tira l’occhiello della sua zip un poco a destra e invita l’inconfondibile Victorinox a entrare dentro.

Facciamo quattro chiacchiere e mi racconta delle decine di Cammini compiuti. Mi basta un’occhiata intorno, allora, per comprendere che gli altri non potevano capire: gli altri non avevano una minima idea. Erano turisti, mica pellegrini.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *