Giorno #1: da Irùn a San Sebastian
Km: 31
Difficoltà: 7.5/10
Bellezza: 8/10
Le spese (primo giorno, spese pazze!): pranzo a Paisaje = 5 euro + barca da Paisaje = 0,80 euro + Air bnb = 35 euro + pinchos per cena =18 euro + drink con Gitte =7 euro + biscotti per Gitte = 2 euro + sfizio per me = 3 euro + 9 euro App Buen Camino. Totale: 79,80 euro!!
Le dritte:
1. Non vale la pena dormire a Irún. Meglio muoversi subito di qualche chilometro (ne bastano 3, 4) appena arrivati e fermarsi in un albergue nella natura, come se ne trovano sulla strada verso il Santuario di Guadalupe.
2. Se sei proprio costretto a sostare a Irún, considera che i posti in Albergue sono pochi e dunque non è detto che riesci a sistemarti (due ragazze che avevo conosciuto in pulman da Bilbao a Irún hanno cercato per quasi tre ore…poi si sono arrese a pagare un hotel).
3. Se arrivi tardi a Irún, fai in modo di procurarti prima la Credenziale. La sera non te la danno sicuro.
4. Equipaggiati di cibo e acqua prima di partire per la tappa verso San Sebastián.
5. Prenota per tempo a San Sebastián, soprattutto se viaggi in alta stagione. Non sarà al 100% in stile “Pellegrino”, ma se hai male ai piedi può diventare un problema.
Non è una questione di meta, la questione è quale via intraprendi per raggiungerla, e come interpreti il tragitto.
E così Giorno #1 del mio secondo Cammino di Santiago: bando alle ciance. Tutte le strade portano sempre lì in Galizia, ma questo qui, stavolta, si chiama Cammino del Nord.
L’arrivo a Irùn è una schifezza, non ci sono altre parole. La città è orribile – e per dirlo io che mi emoziono anche a Ladispoli, ce ne vuole -, lo confermano persino i gestori dell’Albergue Municipal: peccato però che il loro ostello è il più lurido che abbia mai incontrato tra i 32 alloggi totalizzati alla volta di San Giacomo. Le foto che ho scattato sono eloquenti: anche se non raccontano del topo sgattaiolato qua e là fino al suono metallico della trappola.
Il mio vicino di letto, alle 4 in punto comincia ad agitarsi: con la luce del suo telefono sparata sulla mia faccia, decido anche io di alzarmi alle 4:15. È il risveglio più anticipatario per mettermi in marcia mai realizzato, e prima delle 5 dunque sono già in strada.
Le sorprese però sono appena incominciate. Qui il clima atlantico tira brutti scherzi e così dopo poco scoppia un acquazzone. Accelero il passo e nel frattempo mi accorgo che le frecce gialle si sono dimenticate di me: non siamo mica come sul Francese, qui tutto è molto più selvaggio e letteralmente affidato alle mani della provvidenza.
Fermo qualche automobilista nottambulo e a gesti finalmente mi trovo ai piedi della salita che porta al Santuario di Guadalupe.
Il fatto è che è ancora buio pesto, non si vede un accidenti in terra, il cielo lampeggia di brutto e il tipico tic-tac ritmico scandito all’unisono da un’infinita sequenza di pellegrini sbacchettanti qui è un miraggio.
Ma mi fido e salgo su: mi inoltro nel bosco come Cappuccetto Rosso. Mi sento tranquilla e mi ritrovo incredibilmente immersa in mille sensazioni. Il buio e il silenzio intorno, l’ascesa al monte…scatenano un miracolo di emozioni, flashback e intuizioni.
Questa ha molto in comune con la tappa di Roncisvalle: il brutto tempo incontrato anche allora, l’inizio senza mezzi termini dritto in salita, il chilometraggio inevitabile di quasi 30 chilometri che fa subito selezione.
Di diverso però c’è la solitudine, c’è l’immersione reale nella dimensione interiore.
Una solitudine tale che faccio 20 chilometri filati in salita senza mettere una briciola nello stomaco: dall’orrido Albergue fino al villaggio di pescatori di Pasaia – dove i ragazzini si tuffano da ogni dove, navigano su decine di canoe rosse e giocano a battimuro – non c’è l’ombra di un bar, di un chiosco, di un ambulante che farebbe i miliardi a sostare sulla via.
Così provo a bussare a una villa dall’aspetto di Albergue, ma la proprietaria non ha pietà di me. Mi affianca poi una famiglia francese, la donna più anziana ha voglia di chiacchierare e appena apprende del mio digiuno in salita dalle 4 di mattina, mi regala un sacchetto di uva passa e prugne secche.
Scendo giù fino al villaggio di Pasaia. Dopo un pranzo economico e davvero gustato, dove riassaporo il piacere dell’autentica tortilla, mi lancio nel valico dall’altra parte della montagna, che mi proietterà verso le spiagge brasiliane dell’allegrissima San Sebastiàn.
Ma la sorpresa più bella della giornata mi aspetta dietro l’angolo, all’unica fonte disponibile a metà tragitto mentre mi intrattengo più del previsto, incantata da un uccellino che mi gira intorno. Arriva una donna robusta all’area ristoro, mi ricorda qualcuno ma non ne sono sicura. Se ne va prima di me, non ci siamo scambiate una parola…anche lei troppo stanca. Nell’andare mi saluta regalandomi un sorriso meraviglioso. Rimane così impresso nei miei occhi che chiudo velocemente lo zaino, accelero il passo e capisco che sarà lei la mia prima amica di questo Cammino.
La affianco e finalmente la riconosco: era esattamente sopra di me nel letto a castello dove abbiamo trovato rifugio la notte scorsa nell’orrido Albergue dell’orrida Irùn. Come se non bastassero le coincidenze, Gitte – che è danese, simpaticissima e con un cuore così – è una cantante professionista.
È con lei che divido la stanza di stasera, dopo un arrivo difficile a San Sebastián – non c’era uno sputo di letto disponibile in questa località che d’estate fa furore, e lei ha pure molto male a un piede: così ci siamo sistemate in un Air B&B in pieno centro, e che crepi l’avarizia. Il proprietario si chiama Leonardo, cresciuto in Argentina ma con sangue siciliano.
Ora io e Gitte Hugger Paxevanos siamo in riva al mare di questa sorella minore di Rio, dopo avere parlato per ore di pop svedese e delle avventure della vita: aspettiamo il tramonto in attesa che le nostre strade si dividano domani. Almeno per il momento. ❤️