Cammino del Nord, giorno #8
Km 29
Da La Arena a El Pontarròn de Guriezo
Difficoltà: 7
Bellezza: 10
Le spese: pranzo: 5 euro a un bar+ Albergue donativo: 5 euro (dormito sul tavolo e pagato con 5 euro anche per Martin, che si è arrangiato per terra), poi la sera Martin mi ha offerto una birra. Totale = 10 euro
Le dritte:
1. Porta con te un materassino yoga, anche leggerissimo, per dormire: ti tornerà utile in caso di mancanza di posti letto! Ho conosciuto oggi una coppia con nello zaino una tenda da un chilo e duecento grammi: è una possibilità da valutare;l
2. Porta con te filtri di the: in mancanza della colazione potrai comunque prendere una calda bevanda di prima mattina;
3. In caso di pioggia è utilissimo il cappello con la visiera;
4. L’Albergue de Peregrinos di El Pontarròn de Guriezo ha solo 16 posti a sedere, ma se li preghi ti lasceranno dormire in terra :-);
5. Equipaggiati di cibo: non è detto che troverai qualcosa per cena nel vicino bar e l’indomani dovrai fare molto chilometri prima di trovare un locale dove ristorarti. Il posto più vicino è il supermercato del campeggio di Islares.
E quindi, dopo una notte passata sotto la passerella di legno della playa La Arena, al riparo in caso di improvvisa pioggia che qui è ormai una sgradita compagna sempre alle calcagna, l’alba delle 6 e qualche cosa ci sveglia su uno scenario stupendo.
Il mare calmo, la lunga scogliera, il cielo pastello che solo la prima mattina sa tinteggiare, il sentiero che ci guarda da lontano.
Clément però ha un dolore ancora più forte alla gamba, lo sforzo fatto gli impone il riposo.
Io anche non me la cavo bene: ho la schiena rotta dalla dormita selvatica, e soprattutto assisto al debutto di un fastidio preoccupante al fianco interno del piede destro. In compenso, il maledetto male che non mi ha mollato un giorno per quasi un anno sotto l’arco plantare del sinistro – me lo portavo dietro praticamente dal precedente cammino – si è volatilizzato, quasi a dire: “ora caro destro, visto che è giunto il tuo turno, la smetto di lamentarmi e ci penso io a sostenerti”.
Così è tempo di scelte: Clément è veramente il compagno di viaggio ideale, sensibile, intelligente e attento, senza contare che è meraviglioso ascoltarlo cantare. Camminare con un uomo alto e responsabile è molto confortevole, ma non è sufficiente per condizionare le mie scelte. Il mio compito è di andare, il suo di restare.
Ci salutiamo con un abbraccio vero, e in quella culla percepisco quanto questo gesto sia per me letteralmente l’ABC del condividere, come ci raccontano le stesse lettere della parola, proprio doppie in quanto ad a, bi e ci.
Mi accorgo quanto sia prezioso sostare nell’abbraccio senza malizia, ascoltare l’altro e donare quiete con il proprio respiro.
In un flash rivivo il momento scattato la sera prima sulla spiaggia, quella foto che mostra un altro tipo di abbraccio stupendo da scambiare, soprattutto con gli uomini: stringerli lateralmente, in una posizione amicale, però con l’orecchio in ascolto sulla loro spalla, una mano a cingere il fianco e l’altra appoggiata sul cuore. Il battito di Clément è pieno di vita, scalpita come quello di un gioioso puledro.
Torno lì al presente, Clément mi dona ancora il suo sorriso strepitoso prima che mi volti verso ovest alla volta della Cantabria.
Già, è già passata una settimana, già trascorsi i Paesi Baschi, portati via 225 chilometri, e Santiago è più vicina ora, dai quasi novecento iniziali.
La vera protagonista della tappa odierna si rivela giusto dietro l’angolo e si chiama natura. In pochi passi oltre La Arena sono proiettata su un paesaggio straordinario: il più bello goduto fino a qui. Le foto offrono solo un piccolo tributo all’impressione di vastità e potenza della scena cantabrica. Purtroppo scattare decentemente qui al Nord è un po’ un’impresa: piove sempre e tanto, una pioggia fitta come fili di seta che ti s’infilano ovunque, il cellulare è cacciato chissà dove e ogni volta che lo tiri fuori rizza i peli come un gatto e ti sembra di sentirlo smiagolare, smanioso di tornare all’asciutto.
In un momento di quiete pluviale, mando un messaggio a Michi. Chissà dove sarà mai il mio saggio amico tedesco, cuore gigante in un corpo piccolo. Gli invio la mia posizione immaginandolo miglia indietro, ma mi risponde con un dono: è a poche centinaia di metri dietro di me, lui sì che è bravo a mettersi gambe in spalla ogni mattina puntuale alle 6! Ci incontriamo al primo bar sulla via, ci diciamo quattro cose e ci salutiamo con una senso di completezza, la sensazione di avere concluso ciò che dovevamo condividere. Faccio per andare quando mi richiama a sé:
Mi guarda fisso e mi dice grazie. Per come l’ho aiutato qualche giorno prima a far capire al suo amatissimo nipotino, disperato per l’incomprensibile partenza del nonno, che lui è andato per portare indietro storie straordinarie da raccontargli e con cui farlo crescere. E così Michi porterà presto il piccolo Lian sul Cammino e prima ancora, una volta tornato a Schambach, gli farà assaggiare la nuda vita in un week end magico con la tenda solo per loro due. Ora Lian vuole sapere ogni sera le anticipazioni delle favole raccolte da Michi sulla strada, e a 6 anni non ancora compiuti è il primo tifoso in famiglia dell’avventuroso giovane nonno.
Nel momento di quel grazie rileggo tutto questo, le pagine di qualche giorno fa durano il tempo di quello sguardo, poi Michi mi abbraccia. È un uomo talmente riservato e serio, che non me l’aspettavo. È un abbraccio forte e pieno di senso, come piace a me, da commilitoni senza sesso, totale e privo allusioni.
E così, con questo finale di atto secondo, ora so che per me inizia la fase 3 del mio Cammino del Nord.
Proseguo nella pioggia, la caviglia destra mi fa sempre peggio. Ma finalmente sono quasi giunta a destinazione e il paesaggio è fantastico, col mare enorme allungato su una spiaggia che si fa laguna, poi fiume, poi chissà. Come sempre alle prime ore del pomeriggio, il pensiero ronza sui pochi posti (16) disponibili nella località più imminente, che snacchera tutta al nome di Pontarròn de Guriezo. E mentre penso scorgo, aldilà della mia visiera che fa grondaia per l’acqua e per la nebbia, una sagoma sotto la pensilina d’una fermata del bus. È un pellegrino, gli chiedo cosa faccia lì, mi dice che si è perso, che ha camminato troppo, che è stanco e che aspetterà non importa fino a quando o per dove il primo autobus di passaggio.
Senza pensarci due volte, anche se il cinismo della caccia al tesoro ti porterebbe a considerare ogni altro un pretendente in più al posto-letto, lo scuoto con una bella notizia: “siamo a 500 metri da un Albergue…seguimi!”
Arrivati lì di fronte, brutto segno: vediamo tre pellegrini uscire dall’ostello zaini in spalla e tirare dritto sulla strada. Decido di entrare lo stesso, la proprietaria conferma che i posti sono finiti da un pezzo. Sono preoccupata più per il ragazzo che per me, la prego di lasciarci dormire ovunque, anche in terra. So che è proibito per legge andare oltre il numero previsto, ma qui sul Camino i miracoli sono all’ordine del giorno.
Accettiamo tutte le condizioni, anche che non ci sarà cena però per noi, la signora ha solo birra da servire. E niente colazione all’indomani.
Una volta spogliati di poncho e scafandri vari, sotto il mostruoso zaino da 18 chili appare un pulcino di ragazzone dagli occhi dolicissimi. Martin è tedesco di origini polacche, e mi promette una birra dopo che avrà smaltito in un sonnellino la pazzia di 50 chilometri totalizzati. È qui per dimagrire, mi dico che sta esagerando ma questa è la sua storia, non posso che accoglierla con benevolenza.
Intanto prendo posto-letto su un tavolo inutilizzato in una stanza disadorna che serve da cucina, mentre Martin gonfia accanto a me il suo materassino. Arrivano i due ragazzi sloveni, quelli che a Deba mi avevano offerto il melone, gli unici con me ad aver saltato di livello. Hanno con loro un po’ di pizza da scaldare, sono affamati come tutti ma appena mi vedono me ne offrono uno spicchio, e poi più avanti anche un secondo. Sono gesti che valgono tanto, ve lo posso assicurare. D’altronde qui è tutto un dare e ricevere, ricevere e dare.
Arriva anche una coppia che vive a Londra da 16 anni, sono polacchi anche loro, si chiamano Dom e Luka. Sono stupendi e promettono che l’indomani si sarebbero presi cura di me e di Martin: hanno un buon rifornimento di cibo per la colazione! Con gli spicchi di pizza e la birra di stasera sera, dunque, sarò a posto fino al pranzo di domani!
Infine conosco gli altri compagni di camerata, Jerzy e Ivan: le loro origini? Scoppiamo tutti in una risata incredula: polacchi anche loro, ebbene sì, tutto vero. Jerzy lavora in Norvegia mentre Ivan è nato in realtà in Ucraina. Tutti lì e per caso, mai incontrati altri polacchi sul Camino. Ed è un popolo cui mi sono sempre sentita così profondamente connessa!
In un grande abbraccio cinto da un’anonima stanza, il cuore polacco si è ritrovato: nell’unione tra tanti differenti esodati, ai cui estremi sono di guardia un polacco tedesco e un polacco sovietico.
Comments 1
Well done. I would say that what started in el Pontarròn where natural and organic interaction between few people who unexpectedly met there. It kicked spontaneous flow of very positive energy. It’s seems like is a beginning of warm, respectful and long time friends relationship.
Camino is a trip (the proper one). Is up to everyone to decide whatever jump on it.