La caccia al tesoro

Cammino del Nord, giorno #12

Km 29

Da Santa Cruz de Bezana a Caborredondo

Difficoltà: 7

Bellezza: 4

Le spese: Albergue Izarra = 6 euro per letto + merenda sulla strada = 3 euro + bibita = 1 euro + cena = 9,50 euro. Totale = 19,50 euro.

Le dritte:

1. Grazie a Serena, ho imparato a bucarmi le vesciche con l’ago (che va disinfettato facendosi passare il filo per lasciarle spurgare). L’operazione è più cruenta a dirsi che a farsi…dunque è utile portare ago e filo con sé;

2. Nicola mi ha regalato un paio di calzini antivesciche, sembrano comodi, si comprano anche da Decathlon;

3. Nicola invece cammina con calzini e sandali. È un grande esperto di camminate e lui si trova bene così. Non è male l’idea di portarsi dei sandali da trekking per le camminate su asfalto come scarpa di ricambio;

4. Da Santillana del Mar a Carrobedondo ci sono solo bar e ristoranti, zero negozi di generi alimentari. Dunque se vuoi equipaggiarti di spesa, fallo all’Eroski gigante di Santa Cruz de Bezana, oppure a Santillana (che però è una cittadina di lusso);

5. All’Albergue Izarra si sta bene: in caso di necessità estreme puoi comprare lì stesso delle lattine di cibo o bevande confezionate a poco prezzo.

L’arrivo a Santa Cruz de Bezana, citando Fantozzi, è una cagata pazzesca. Mentre percorri i 10 orrendi chilometri che separano Santander da questo inutile sobborgo, ti chiedi perché mai le frecce gialle della Cantabria, dopo averti regalato gli spettacoli più belli di tutto il Cammino, ti debbano condurre sotto l’autostrada, a ridosso di cumuli di mondezza, sotto il sole che spacca le pietre…mmmh…mmmmhhh!

Ma poi, come tutto, anche questo ha un senso eccome…mentre tu eri di nuovo lì, piccola piccola, con il tuo grillo in testa pronto a pre-giudicare. Un senso non solo perché la bruttezza mette alla prova la tua pazienza, la tua capacità di restare lì senza svagare, la tua attitudine a creare bellezza in ogni circostanza…ma anche perché quel sant’uomo di Ernesto, proprio lui, ci aveva detto di andare a trovare Nieves e José a Santa Cruz.

E così finalmente, quando ormai le vesciche hanno ceduto il posto alle piaghe, quando le baratteresti al volo per il male appena passato alla caviglia, arrivo di fronte alla casa con la conchiglia gialla.

Basta un colpo d’occhio nella stanza d’ingresso, col pianoforte aperto su un misterioso spartito ingiallito, la chitarra appoggiata a due tamburi, i divani tanti e accoglienti…che capisco subito che sì, è qui che c’è da fermarsi.

Nieves è una donna energica. Sarà per il pianoforte aperto ma mi ricorda un po’ la Argerich, nei capelli corvini, nello sguardo fiammeggiante e nei modi latini. Mi offre dell’acqua mentre intanto a pochi metri da me – in un rush finale al fotofinish – una nuova compagna, Michelle dall’Irlanda, sbuca la gamba e subito poi si affacciano alla porta Bogdan e Cristina.

C’è un po’ di preoccupazione: ci sa tanto che per quattro non ci sarà mica posto…

Nieves si mette le mani nei capelli, dice che già è al completo. Ma che insomma, se siamo solo noi, ci sistemerà sui divani un po’ di qua un po’ dillà. Io ho i piedi in pappa, e mi butto sotto una doccia gelata. Giusto il tempo per far bussare qualche altro amico alla porta: è Martin, Mr. 18 chili sulle spalle e 50 chilometri nelle gambe, esausto dal caldo ma finalmente alleggerito della sua astronave: a Somo ha spedito il “mostro” fino a Santiago e ha comprato uno zainetto dove tiene i giusti 7 chili di roba. Nieves fa per mandarlo via ma io insisto un po’ in francese, ché pure lei ha vissuto a Parigi. E così anche Martin è dentro, pronto a fare giaciglio sul suo inseparabile materasso gonfiabile.

Della nostra comitiva manca l’immancabile Jerzy, che però ci scrive di essere già arrivato a Boo (che non è un gioco di parole tipo “come ti chiami? Nessuno”, no no, questo posto si chiama proprio così: Boo), si lamenta dicendoci che laggiù ha incontrato solo vecchi e che già gli manchiamo. Mancano piuttosto anche Dom e Luka: non faccio in tempo a pensarli che…toc? toc? Si presentano alla porta.

Nieves è disperata, ma noi non le crediamo più: è infatti dopo cinque minuti, Dom è lì in giardino a montare una tenda per due.

La cucina ha due grandi tavoli, a cui tutti insieme aggiungiamo via via piatti e bicchieri: alle 9 la cena è imbandita con tortillas, insalata ricca, pane, formaggio e sandia a rinfrescare la bocca. Un vero menù pellegrino. Gli andiamo giù di foto, Nieves si trova a scattare da una pila di cellulari: la scena è bellissima. Praticamente è come se fossimo tutti a cena a casa di vecchi amici, anche se siamo un po’ tantini; ma il clima è così intimo e familiare che sembra un ritrovo di classe.

Poi la padrona di casa, insieme al silenzioso ed operoso marito Josè, ci spiega un concetto molto importante, quello del contributo responsabile: è lo stesso che funzionava da Ernesto e da molti altri hospitaleros sulla via. Ovvero: nessuno ti controlla l’offerta, tu prima stai, mangi, condividi, ti docci, usufruisci di lenzuola e di tutto quanto una casa mette a tua disposizione e poi l’indomani metti quanto ritieni giusto nella cassetta responsabile. Ed è per questo che nel resoconto quotidiano delle spese che riporto sul mio blog, ogni volta che incontro un Albergue con “contributo responsabile” ho deciso di non indicare la cifra che ho messo, perché ognuno deve sentire quanto mettere senza chiedere…come anche mi suggerisce Nieves di fare.

Dopo le pappe, dal serio al faceto: Nieves comincia a sventolare il dito impartendoci ordini su come sistemare tutta la cucina. E per punizione al mio aver imbucato altri rifugiati, mi mette con Martin a lavare una montagna di piatti. Dietro di noi si snoda una catena umana, che se ci penso ancora mi ammazzo dalle risate: in venti ad asciugare, riporre, impilare, fino a chiudere con un giro di chiave le credenze. Sembra uno schetch di Jerry Lewis.

Piegati in due dalle risate, completiamo un’operazione di ore in pochi minuti, visto che con la ridarella ci prende pure di andare a 78 giri.

E ora è tempo di caccia al tesoro.

Con un’espressione grave, Nieves ci invita a metterci intorno al tavolo: “perché il Cammino del Nord non è per tutti, è per quelli creativi”. E così scopriamo che l’indomani sarà tempo di giocare.

Nieves tira fuori la sua mappa olografa. “Avete due possibilità”, ci intima. “O fare 40 chilometri per arrivare a Santillana del Mar seguendo il Cammino ufficiale, o prendere la scorciatoia per un totale di 25 chilometri. Questo vi permetterà di arrivare a destinazione a mezzogiorno e qualcosa, evitando il grande caldo, ma dovrete fare molta attenzione alle mie indicazioni”.

La faccenda si fa complicata, soprattutto per le quote rosa notoriamente preda d’una bussola endogena tutt’altro che attendibile. Bisogna prendere le scale sul ponte dell’autostrada, seguire la ferrovia, poi a Boo decidere se attraversare i binari a piedi, e rischiare qualche ora in questura, oppure fare un giro lungo 7 chilometri, o anche saltare senza biglietto sul treno che passa ogni ora alla mezza. “E se arriva il signore con la divisa, poco male: paghi la multa di un euro e cinquanta. È normale qui, visto che è impossibile acquistare il biglietto. Fa parte delle abitudini cantabriche”.

Alle 6 in punto dell’indomani prepariamo armi e bagagli. Ci sparpagliamo lungo il percorso stile “gioco dell’oca” e chi prima chi dopo superiamo tutti botole e trabocchetti, fino ad arrivare sulla statale CA-131.

Ed è lì che avverto il momento di dare un giro: il Nord ha dei paesaggi stupendi, quando stai sulla costa, lungo le spiagge, non te ne andresti più…ma il 75% del Cammino si svolge su asfalto. Ho voglia di sentieri e di verde. E grazie anche a voi, a tutti i preziosi consigli che ho ricevuto ieri sera mentre prendevo posto a Caborredondo in una stanza che – guardate un po’ – è un contributo all’Albergue di Guimaes di Ernesto…so che oggi troverò il mio tesoro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *